Giovedì 28 Maggio 2020

I consigli di Massimo Scarpati

di Redazione FIAS

I consigli e la storia di uno dei più grandi apneisti di tutti i tempi. Intervista a Massimo Scarpati di Emanuele Esentato.

Massimo nel tuo libro autobiografico “Il tempo di un’apnea” racconti il tuo percorso umano ma soprattutto tecnico. Puoi raccontarci delle tue prime esperienze di apnea? ricordi che emozione provasti e le tecniche?

Con la Nonna che aveva una specie di stabilimento balneare sull’ arenile del porto di Mergellina non poteva andare diversamente. Il mio futuro cominciò a delinearsi proprio in riva a quel Mare. Fu naturale superare quel confine rappresentato dalla superficie del Mare per vedere sotto di esso che cosa c’era. Il Mare ha fatto tutto il resto, emozioni su emozione mi ha spinto ad andare sempre avanti. Un processo graduale che ancora non ha trovato la parola fine e che mi spinge ad andare oltre se non fosse per l’età con la quale oggettivamente devo fare i conti. Ed è proprio l’età che mi sta costringendo a pensare che sono un terrestre ma io sento di appartenere al Mare.

Ho iniziato come facevano i “sommozzatori napoletani” a frutti di mare o prendendo con le mani qualche ghiozzo e qualche polpo rifugiati nelle lattine . Il mio limite era costituito dal dolore ai timpani per effetto della profondità, poi ho imparato la manovra della compensazione e la profondità non era più un limite. Ho capito che con tecniche adeguate anche il Mare poteva essere esplorato oltre tutte le barriere e gli ostacoli che poneva e sono andato oltre. Ed è stato ed è ancora così quando sono sott’acqua dimentico completamente tutto ciò che è il mio trascorso con il mondo terrestre “ gioie e dolori”, ma essenzialmente non ho più nulla a che fare con la gravità terrestre che per me sta diventando un male cronico. Ero forse poco più che un bambino e dalla scogliera del porto di Mergellina vidi un bagnante steso sull’acqua con un lungo tubo tra il braccio ed il fianco ed uno all’altezza della testa.

Era Pasquale Ripa che faceva pesca subacquea e da quella visione è partita la mia fantasia. Da ragazzino ho cominciato a correre dietro i pesci. Mi allontanavo da Mergellina fino a Palazzo Donnanna , al Cinito a Pietra salata i pesci erano sempre gli stessi ma ogni volta un emozione sempre più grande. Poi ho conosciuto Claudio Ripa che mi ha introdotto nel mondo delle gare e mi ha dato il benvenuto in quella grande scuola della subacquea napoletana.

Di preciso per migliorare la tua performance in acqua, quale tecnica hai utilizzato? che tipo di allenamento sostenevi?

All'inizio andavo istintivamente senza seguire un particolare programma di allenamento non avevamo nessun preparatore atletico che ci affiancasse, né forse c’erano tecnici adeguati alle nostre esigenze atletiche. Anzi devo dire che alla mia prima visita medica per ottenere il tesserino di concorrente alle gare fui scartato perché avevo una capacità vitale troppo esigua.

Poi le gare mi hanno spinto a seguire durante i mesi invernali vere e proprie sedute di allenamento atletico propedeutico alla stagione delle competizioni. Allenamento aerobico ed anaerobico che mi hanno dato qualcosa in più ma che non sempre mi mettevano nelle condizioni più adeguate per affrontare un particolare evento agonistico. Succedeva sempre qualcosa prima della gara che non mi faceva sentire adeguatamente preparato ed in forma. Solo una base di preparazione aerobica mi supportava durante la competizione per migliorare il recupero e per sostenere lo stress di una competizione impegnativa. Mi convinsi che qualsiasi tecnica di allenamento tendente a superare i propri limiti fisici o almeno a raggiungerli non miglioravano le mie prestazioni anzi peggioravano le condizioni di rischio.I benefici maggiori li avrei avuti migliorando i materiali, le attrezzature, le tecniche, la conoscenza del Mare ed infine l’acquaticità, per cui ho da sempre collegato l’Apnea al concetto di lucidità in ambiente.

Quale alimentazione sostenevi come atleta?

Forse sbagliando non ho mai sostenuto una particolare dieta al fine dell’attività agonistica. Allora non si conoscevano preparatori atletici, dietologi. Si andava a Mare per tutto il giorno, raramente si portava qualche panino, si rientrava la sera con una fame da squalo. Ripeto si sbagliava ma era la grande passione che ci sosteneva e ci alimentava.

Cosa suggeriresti ad un giovane apneista?

Non posso che ripetermi consigliando ai giovani di evitare i rischi. Sono quarant’anni che ho cercato di indirizzare l’agonismo verso una regolamentazione che impegnasse l’atleta in acqua e pertanto anche l’appassionato verso una pesca in apnea non ai limiti delle possibilità fisiche. Ho avuto anche io delle brutte esperienze, avevo vissute tante tragedie, ho salvato tanti ragazzi ma quelli per i quali non sono riuscito a fare nulla hanno scolpito nella mia mente un ricordo indelebile di tristezza che mi porterò dentro all’infinito.

Quando nel 1975 composi il REGOLAMENTO ECOLOGICO scrissi le seguenti conclusioni :“ I REGOLAMENTI CHE PREMIANO LA QUANTITA’ DEL CARNIERE SPINGONO I CONCORRENTI VERSO UN RITMO DI GARA TROPPO ELEVATO. LO STRESS ATLETICO E’ LA CAUSA PIU’ FREQUENTE DEGLI INCIDENTI DI SINCOPE. OTRETUTTO L’ELEVATO RITMO DI APNEE SOSTENUTO DURANTE LE COMPETIZIONI POTREBBE ESSERE LA CAUSA DI DANNI NEUROLOGICI.”

Era il TARAVANA. Nel 1973 ero stato a Tahiti, discussi con Nanai e Tapù su alcuni strani sintomi che avevo avvertito durante un elevato impegno atletico.
Mi confermarono che anche i grandi subacquei locali erano stati spesso colpiti da incidenti similari, addirittura a NANAI alcuni medici francesi, a fine di una competizione in apnea, in Nuova Caledonia, gli diagnosticarono una forma embolica. Purtroppo la Pesca Subacquea ha preso tutta un’altra strada. Anche la FEDERAZIONE che avrebbe dovuto obbligare lo sport verso una maggiore sicurezza non mi ha capito.

Oggi chi è stato colpito dal TARAVANA si sente un eroe. Ci sono persone che vanno orgogliose e gioiscono quando insegnano ad un giovanissimo ad andare a sparare un pesce a trenta metri di fondale. Si parla di apnea consapevole e si insegnano tecniche che spingono gli apneisti verso i propri limiti. Ho sempre collegato all’apnea il concetto di lucidità perchè quando sai di aver forzato e sei a rischio asfissia non potrai mai rendere al massimo, non sei lucido. Poi c’era il problema ecologico con il quale la pesca subacquea agonistica prima o poi si sarebbe dovuta scontrare. Le federazioni mondiali non hanno voluto adottare nuove regole, alcune sono state costrette a chiudere i battenti : come la FRANCIA e presto anche la SPAGNA con il divieto delle gare di pesca subacquea.

La FEDERAZIONE ITALIANA ha scopiazzato qualcosa dal mio regolamento ma sostanzialmente nulla è cambiato. Forse ho sbagliato tutto perché volevo prendere due piccioni con una sola fava, o forse ero troppo in anticipo sui tempi. Eppure la pesca subacquea come hobby sta attraversando un successo che non si è mai avuto a livello mondiale. Se si và su YOUTUBE e clicchi su SPEARFISHING in SIBERIA trovi un video di uno che con un ascia rompe il ghiaccio e si tuffa per fare pesca subacquea.

Sei stato tra i primissimi atleti italiani a dare vita ad una linea di attrezzature subacquee che tra l’altro portava proprio il tuo nome. Oggi sono tantissime le aziende che vendono attrezzature subacquee ma secondo te quali devono essere le caratteristiche minime che un’attrezzatura deve avere?

Forse sono stato l’unico ad avere una linea completa di prodotti nella pesca subacquea. Tutto cominciò nel 1969 vinsi i Campionati del Mondo e visto che avevo un seguito tra i giovanissimi, l’azienda mi convinse a mettere il nome sulla prima mascherina per bambini tutta in plastica . Accettai a malincuore , ma fu un successo enorme con una serie di articoli sul giornale Topolino. Mi guadagnai un milione e fu una festa. Gli americani che acquistarono l’Azienda per tenermi con loro visto che continuavo a dare un supporto tecnico alle nuove attrezzature mi dettero la possibilità di creare una linea da me firmata. Fu un successo enorme, il primo anno fatturò più di un miliardo, io e lo Stato, socio di maggioranza, ci dividemmo poco più di trenta milioni di royalties. La rivoluzione più importante della LINEA SCARPATI sono state le pinne lunghe. Sarebbe bello raccontare come sono nate ma ci vorrebbe un libro. Oggi a tutti i livelli mondiali si adoperano solo pinne lunghe per la pesca subacquea e l’apnea. Altri articoli hanno segnato un epoca ed essenzialmente hanno dato all’azienda con la quale lavoravo lo status di OPINION LEADER del settore supportato dalla vittoria in tante competizioni. Poi è successo un’altra rivoluzione le grandi Aziende non hanno creduto nel futuro della pesca subacquea per le mode ecologiste . Tanto è vero che dettero il loro avallo al Ministero dell’Ambiente a vietare la pesca subacquea in tutte le Aree Marine protette. La Campania patria di quest’attività è tutta un Area Marina Protetta salvo qualche miglia di Mare. Ma la Pesca in Apnea ha avuto uno sviluppo enorme, sono nati tanti piccoli artigiani che hanno sopperito alla mancanza delle grandi Aziende. Oggi gli artigiani Italiani sono i più bravi, esportano in tutto il mondo . In Francia che era il mercato dei fucili Arbalete oggi si vendono quasi solo prodotti italiani . Qualche artigiano è diventato grande ma le aziende tradizionali stanno a guardare, cercano di recuperare producendo in CINA ma difficilmente potranno rimpiazzare i piccoli che con il loro entusiasmo, passione, elasticità sono l’orgoglio italiano. Le caratteristiche minime si ritrovano ovunque ma le massime risiedono tra i nostri artigiani che con enormi difficoltà spesso combattono una guerra impari e vanno avanti. Evviva l’Italia.

Con obiettività tecnica, ritieni che l’apnea abbia subito una evoluzione negli ultimi anni? In cosa è diverso un apneista del 2016 rispetto ad uno della tua generazione?

Certamente ha subito una grande evoluzione sotto certi aspetti positiva ma con molti punti oscuri. E’ certamente migliorata ogni pratica e tecnica tendente ad aumentare i tempi di apnea, le profondità di lavoro. A raggiungere e superare i propri limiti anche con pseudo pratiche iperventilatorie solo allo scopo di sfruttare l’ultimo centimetro cubo di ossigeno nei polmoni. Non si è fatto nulla sulla ricerca di una maggiore lucidità in ambiente, del miglioramento dei tempi di reazione, allo scopo di ottenere lo stesso risultato nel minor tempo possibile e con meno rischi. A volte ho la sensazione che anche gli apneisti pescatori siano valutati sulla durata delle apnee e la profondità e non sul risultato. Naturalmente alcun riferimento ai record e pratiche similari in quanto tali, sono attività tendenti al superamento di quote e tempi già raggiunti. Attività che esulano dalle mie competenze e delle quali rimango a volte un semplice spettatore. L’apneista pescatore di una volta doveva temere la Sincope oggi anche il Taravana.

Queste domande non hanno l’obiettivo di mettere in competizione due generazioni a confronto piuttosto quello di comprendere quali sono i punti di forza di entrambe e cercare di prendere il meglio dagli sforzi che ognuno ha fatto per arrivare ad un certo livello.

Non esistono generazioni a confronto ma esistono progressi di generazioni. Io ho appreso tante cose da chi mi ha preceduto, ne ho fatto tesoro e spero che sia lo stesso per chi segue la mia epoca. Abbiamo tutti però un solo interesse: LA DIFESA DEL MARE. Tutto ciò che facciamo ci sarà consentito finchè esisterà questo magnifico elemento sul nostro Pianeta e ci dia quando finora ci ha potuto dare. Non dobbiamo andare oltre, perché altrimenti vedremo la fine della nostra passione, la fine dei trequarti del Pianete “IL MARE” , la fine della nostra TERRA.

Quale era il tuo punto di forza? la volonta, la mentalità, la fisicità oppure la tecnica? cosa ti ha permesso di essere il numero uno in Italia e tra i primi al Mondo?

La volontà, la ricerca del meglio nelle attrezzature e nelle tecniche. Ho commesso tanti errori ma ho da subito capito che ogni volta non mi confrontavo con gli altri ma con il MARE. Era il mio punto di riferimento ed ogni volta anche se strappavo qualche segreto al MARE inevitabilmente il mio orizzonte culturale si allargava ed inevitabilmente avvertivo il vuoto dell’ignoranza. L’impossibilità di raggiungere la conoscenza assoluta mi dava la sensazione di essere sempre ridimensionato dal MARE. Giammai mi sono sentito sconfitto anzi sempre più curioso di conoscere il MARE.


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