Mercoledì 21 Ottobre 2020

Baia Sommersa

di Redazione FIAS

La costa dei Campi Flegrei è un esempio unico al mondo, per lo sprofondamento dell'antica fascia costiera e la conseguente trasformazione del territorio.

Dopo essere stata fittamente urbanizzata e industrializzata, oggi è finalmente oggetto di adeguata attenzione dal punto di vista della conoscenza scientifica, della tutela e della valorizzazione. Al pari o forse ancor più che a terra, quanto si conserva sott'acqua rappresenta un patrimonio eccezionale per rilevanza storica, ma anche per l'attrattiva culturale e turistica determinata dalle particolari condizioni fisiche: è infatti un contesto che agli aspetti archeologici unisce quelli ambientali, nei molteplici fattori geologici e naturalistici legati alla sommersione marina.


Malgrado le profonde trasformazioni dei luoghi, causate dagli stravolgimenti geologici, la zona dei Campi Flegrei, tutt’intorno al Parco sommerso, conserva ampie testimonianze dell’antico splendore. Mitologia e storia ancor oggi si fondono nei monumenti delle città principali: Cuma e Pozzuoli, alle quali fanno corona Baia, Miseno e il lago d’Averno.

Secondo i miti dei primi coloni greci, i fenomeni sismici tipici dei Campi Flegrei erano dovuti ai Giganti, sconfitti dal dio Zeus in uno scontro titanico e qui seppelliti. 
Si pensava che il sottosuolo ospitasse qui l’Ade, di cui il lago d’Averno era ritenuto uno degli ingressi, e i fiumi infernali Cocito e Piriflegetonte, considerati all’origine delle numerose sorgenti termali.
Intorno al 770 a. C., coloni eubei e calcidesi fondarono uno scalo commerciale nell’isola di Pithecusa (Ischia). Poco dopo scesero sulla terraferma, dove fu fondata Kyme (Cuma), la prima colonia greca in occidente. 
Segue la fondazione – da parte di coloni fuggiti da Samo – di Dicearchia, dove nel 194 a. C., verrà poi istituita la colonia romana di Puteoli (attuale Pozzuoli)
A partire dal I secolo a.C. tutta la costa flegrea divenne la mèta preferita per le vacanze dell’aristocrazia romana.

I primi segnali del lento movimento discendente che portò alla scomparsa della fascia costiera iniziarono sul finire del IV secolo d. C.
Ma ancora nel VI secolo Baia continuava ad essere considerata luogo di piacevoli soggiorni. Dopo l’abbandono dell’area in età medievale, le acque termali continuarono ad essere sfruttate per scopi terapeutici.

Baia non fu mai una città, ma una località alla moda per il soggiorno dell’aristocrazia romana da due secoli prima di Cristo a tre secoli dopo.
Vi furono edificate ville lussuosissime, dotate persino di peschiere per l’allevamento del pesce. Tra i più famosi proprietari furono gli Scipioni, Gaio Mario, Giulio Cesare, Marco Tullio Cicerone, Pompeo Magno, Marco Antonio, Licinio Crasso.
Anche molti imperatori vi soggiornarono: Augusto, Tiberio, Claudio, Caligola, Nerone, Adriano, Alessandro Severo.

Ricostruzione della zona in computer-grafica di Glenda Torres


BAIA E I SUOI EDIFICI

L’insenatura di Baia era anticamente occupata da un lago (Baianus lacus, lago costiero citato da Seneca, Tacito e Marziale, comunicante col mare aperto tramite un canale e scomparso per il bradisismo.
È riconoscibile dai resti antichi sulle sponde, densamente edificate.
Esplorazioni e ricerche subacquee rendono oggi migliore la comprensione dell’antica Baiae, estesa in mare fino a 400 metri circa dalla riva.
Tra i principali edifici sommersi sono il ninfeo imperiale di Punta Epitaffio, la villa dei Pisoni ed un complesso termale, disposti lungo una strada lastricata e, nell’estremità meridionale dell’insenatura, una peschiera a pianta semicircolare.
A est del ninfeo di Punta Epitaffio, separato da una strada, era un nucleo edilizio con terme (I-III sec. d.C.) e un ninfeo a tre absidi di età domizianea (81-96 d.C.), unico nel suo genere a Baia.
Una villa imponente sorse in età adrianea (117-138 d.C.) a sud-est della Punta, sui resti di una più antica (fine I sec. a.C.-inizi I sec. d.C.), attribuita alla famiglia dei Pisoni per i bolli impressi su una conduttura idrica di piombo (C-D). Dotato di terme, giardini e un quartiere marittimo, con vani di soggiorno, cisterne e peschiere, difeso da barriere frangiflutti, questo grande complesso, che mostra analogie architettoniche con la Villa Adriana di Tivoli, era confluito nel demanio imperiale forse dopo la confisca della villa dei Pisoni in seguito alla fallita congiura contro Nerone (65 d.C.).

A nord del canale erano terme, forse pubbliche, visto il carattere urbano degli edifici, evidenziato da tabernae e da una strada. Le sponde est e ovest del lago si individuano da altre strutture, poste sotto la banchina portuale, dove anni fa si rinvennero sculture e decorazioni marmoree del III sec. d.C. Altri resti sono sui fondali antistanti i Cantieri di Baia.

Peschiere monumentali sono state scoperte davanti al Castello Aragonese.
Pozzuoli fu dapprima emporio di Cuma, poi, con il nome augurale di Dicearchia (città della giustizia), fu il rifugio di fuggiaschi da Samo (530 a.C.). Perse successivamente importanza fino al 194 a.C., quando vi venne istituita la colonia marittima di Puteoli. Il nucleo più antico della città era arroccato sul promontorio (l’attuale “Rione Terra”), poi si estese progressivamente ai piedi del colle con la costruzione di due anfiteatri, di uno stadio, di numerose terme, di un mercato. Ma il maggiore sviluppo si ebbe lungo la costa, completamente attrezzata con magazzini per lo stoccaggio delle merci.
La grande crescita della città è legata soprattutto al porto, grazie al quale Puteoli divenne il più grande scalo marittimo di Roma.
Il poderoso impianto del porto era sostenuto con archi su piloni di calcestruzzo gettati in casseforme idrauliche. Il molo, lungo 372 metri e provvisto di anelli di ormeggio, era costituito dall’allineamento di almeno quindici grandi piloni quadrangolari.
L’architettura spettacolare del grande molo era un elemento così caratterizzante della topografia locale da essere riprodotto in raffigurazioni dipinte su bottiglie-souvenirs di produzione puteolana. I suoi resti, ormai completamente inglobati nel cemento delle ristrutturazioni moderne, sono rimasti per secoli ben visibili nel panorama, e molte vedute di viaggiatori del XVII e del XVIII secolo li hanno riprodotti.
Lungo la costa puteolana nel 37 a. C. venne realizzato un porto militare, il Portus Julius, per cui furono eseguite grandi opere d’ingegneria: un canale lungo 400 metri collegava il mare con il lago di Lucrino, ed un altro metteva quest’ultimo in comunicazione con il lago d’Averno.

Dismesso il ruolo militare, trasferito al nuovo porto di Miseno, il Portus Julius fu ampliato con infrastrutture e magazzini e assunse un’importante funzione commerciale.
Un’area-campione, oggetto di più dettagliate indagini subacquee, ha permesso di individuare un grande magazzino a pianta quadrangolare con corte centrale. Muri in reticolato suddividono una serie di stanze, alcune ancora provviste di soglie in pietra, di pavimenti e di resti dell’impianto idraulico, che si aprono su un porticato. Rampe di scale documentano la presenza di un piano superiore. Una grande domus, forse appartenente al proprietario del magazzino, conserva ancora un peristilio di colonne in laterizio ed ambienti con pavimenti di mosaico e di signino.

Il canale di accesso al Portus Julius era destinato, secondo un faraonico progetto dell’imperatore Nerone, a consentire l’ingresso anche ad un canale (fossa Neronis) che avrebbe dovuto collegare direttamente il porto di Puteoli a Roma per rendere più sicuro il tragitto invernale delle navi che trasferivano il grano a Roma. La morte di Nerone interruppe i lavori, ma tracce dell’opera sono ancora individuabili dalle fotografie aeree.
Il promontorio di Punta Epitaffio chiude a nord il golfo di Baia. Ai suoi piedi anticamente si estendeva ancora un tratto di costa con numerosi edifici, oggi sommersi. Nel 1969, grazie al rinvenimento casuale di due statue di marmo sfigurate dai molluschi marini, venne individuato un grande edificio appena affiorante dalla sabbia .

Le statue rappresentavano la famosa scena - descritta da Omero nell’Odissea - di Ulisse che porge una coppa di vino al Ciclope mentre un suo compagno versa altro vino da un otre. Lo scavo, all’inizio degli anni ’80, mise in luce un ampio ambiente rettangolare absidato, con le pareti lunghe articolate in quattro nicchie. Tutto intorno alle pareti corre uno stretto canale, ancora in parte rivestito da lastre di marmo, mentre all’interno del piano centrale è ricavata una grande vasca. Durante lo scavo sono state trovate altre cinque statue, cadute dalle nicchie laterali. La statua di Polifemo, che doveva trovarsi nell’abside tra Ulisse e il suo compagno, dovette essere certamente asportata già in antico, dal momento che al suo posto è stata trovata una sepoltura tardo-antica. La presenza di condutture d’acqua all’interno delle statue e l’architettura della sala hanno permesso di identificarlo come un lussuoso ninfeo-triclinio.
L’identificazione delle statue con familiari dell’imperatore Claudio (la madre, Antonia Minore, e una delle figlie morta in tenera età) ha permesso di riconoscere nel ninfeo una parte della residenza imperiale a Baia e di datarlo alla prima metà del I secolo d.C. Tracce di rifacimenti e di restauri ne indicano l’impiego fino al IV secolo d. C, quando ebbe inizio l’abbandono della costa invasa dall’acqua marina.
Il materiale ritrovato è ora esposto nel Museo Archeologico nel Castello di Baia, suggestivamente ambientate in una ricostruzione del ninfeo sommerso.

Underwater City di Sergio Coppola


LE PRIME RICERCHE ARCHEOLOGICHE

Negli anni ’50, grazie alle idee e agli studi di N. Lamboglia e A. Maiuri si procedette ad uno scavo a terra al di sotto dell’attuale piano dell’area archeologica, che permise di raggiungere quelle che probabilmente erano alcune delle sorgenti che alimentavano le terme baiane.

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Gli edifici romani si impiantarono su un'uniforme distesa sabbiosa, pertanto oggi stanno sulla medesima batimetria e quindi non può continuarsi a credere che sotto le onde giacciono ancora interi ambienti completamente occultati dal limo e dai sedimenti marini. Ciò che si trova nelle condizioni sopra esposte è quanto in epoca classica si trovava già sottoposto rispetto al piano terra degli edifici romani ; si tratta perciò, come può agevolmente intendersi, di vasche termali, bacini di ninfei ed eventuali ambulacri di servizio o criptoportici, sicché non può trovar credito l'idea di una parte sommersa intesa come una serie di terrazze digradanti con strutture che sarebbero assestate fino a quindici metri di profondità.
Al largo di Punta dell'Epitaffio il rilievo del Lamboglia mostrava quella che dubitativamente veniva ritenuta una strada ed una congerie di massicci piloni in muratura intesi come parte superstite di una terrazza sospesa verso il mare. Atri improvvisati ricercatori, qualche tempo più tardi, giunsero alla fantasiosa conclusione che da lì partisse.

Accantonata quest'ultima ipotesi, non suffragata da alcuna prova, resta da dire che la situazione riportata dal Lamboglia è stata recentemente chiarificata da nuove indagini, alle quali si deve il disegno di un organismo di modi, peschiere, banchine ed edifici che andavano a comporre l'articolato quartiere marittimo della villa dei Pisoni. Alcune utili riflessioni, infine, possono essere fatte a proposito dell'evoluzione del fenomeno bradisismico. Recentemente le ricerche condotte nel ninfeo di Punta dell'Epitaffio, pur in attesa della pubblicazione definitiva, sembravano aver arrecato prove a conforto di quanto asserito dal Lamboglia in proposito, riferendo al III sec. d.C. l'abbandono di quell'edificio.
Non si può condividere tale tesi, giacché nelle vicine terme di Punta dell'Epitaffio le ristrutturazioni ascrivibili al III o IV sec. d. C. sembrano essere motivate dalla normale usura dei livelli pavimentali e non già da un disperato tentativo di arginare le ormai incalzanti acque marine.

Se vi fosse realmente stata una crisi bradisismica avremmo dovuto coglierne le tracce direttamente sul mare ; ed anche altrove, in prossimità del canale, le strutture superstiti di terme e ville male si adattano a testimoniare i drammatici toni di un più o meno repentino inabissamento.
Assai debole appare l'ipotesi della calamità naturale sopravvenuta nel III secolo, così come nulla depone a favore dell'esistenza del lungo canale che lo Andreae pone dinanzi al ninfeo imperiale. Quella del bradisismo è una storia ancora tutta da scrivere, ma sembra non lontana dal vero l'ipotesi del Frederiksen, secondo cui Baia sarebbe stata in gran parte fagocitata dal mare verso il VII - VIII sec. d.C.

Sono passati esattamente 48 anni dal momento in cui furono effettuati da Nino Lamboglia i primi lavori di rilevamento a Baia e proprio il 22 settembre del 1959 a bordo della nave “Daino” iniziò lo scandagliamento della rada nella zona che si estende tra i limiti della città sommersa e la batimetria dei 16-18 m ove un salto di 4 m sembrava indicare l’andamento dell’antica linea di costa.

Il programma prevedeva l’elaborazione di una carta di archeologia completa dei resti sommersi realizzata attraverso la perlustrazione integrale di tutto il fondale compreso nell’arco costiero tra Baia e Pozzuoli che venne convenzionalmente diviso in grandi quadrati di 500 m di lato a loro volta suddivisi in 25 quadrati più piccoli di 100 m di lato.

L’attenzione fu concentrata sulla zona antistante la punta dell’Epitaffio che meglio delle altre si prestava ad essere presa in esame anche per questioni logistiche.
Fin dall’inizio il lavoro si rivelò particolarmente interessante dal punto di vista metodologico poiché per la prima volta venivano affrontati i complessi aspetti del rilievo e dello studio sistematico di zone archeologiche sommerse.
A breve distanza dalla punta Epitaffio , alla profondità media di circa 6 metri fu individuato parallelamente alla costa il tracciato di una strada selciata a grandi blocchi articolata in tre tratti disposti a trapezio , per una lunghezza di alcune centinaia di metri. Alla strada si allineava in parte un lungo porticato e le si affiancavano numerosi altri edifici.

Nel rilievo del 1960 si può osservare come del ninfeo, allora quasi interamente ricoperto dalla sabbia e da grossi crolli precipitati dalla parte più elevata della punta, s’intravedessero appena le sommità del muro occidentale e di quello meridionale.
Bene evidente, poco più a sud, un’imponente fronte monumentale relativa all’edificio del ninfeo, costituita da una grande arcata centrale affiancata da due più piccole.

Poco oltre verso Est, venivano individuati vari ambienti, quasi certamente destinati ad uso termale: lo indicano la forma, particolarmente quello a pianta circolare, simile ad ambienti analoghi di complessi termali d’età imperiale, l’orientamento e le caratteristiche costruttive, con le tipiche sotto pavimentazioni in cotto ed i resti di pilastri (suspensurae) di sostegno pavimentale.

Fu anche avviata in quell’occasione un’intensa opera di perlustrazione dei fondali che interessò un vasto settore dell’area urbana portando alla scoperta dei resti di numerose strutture, in gran parte coperte dal limo e dalla vegetazione marina, che dalla punta Epitaffio s’inoltravano verso il largo per circa 400 m, fino alla presumibile linea di costa antica.

Una massiccia serie di piloni in calcestruzzo disposti lungo il margine di essa, alla profondità di 16-18 m, ha fatto pensare ad una gettata di blocchi effettuata a protezione del fronte costiero.
Oltre ai lavori di esplorazione, furono condotti alcuni saggi di scavo molto limitati; particolarmente indicativo quello dell’ambiente rettangolare con esedra, posto subito accanto all’ingresso monumentale dell’edificio del ninfeo, all’interno del quale fu incontrato un consistente strato di materiali di riempimento databili verso la fine del III secolo d.C.


Le ricerche a Punta Epitaffio

Dieci anni dopo, nel 1969, un’inattesa scoperta proprio a ridosso della punta Epitaffio riportava l’attenzione sul dimenticato problema di Baia sommersa.
Le forti mareggiate avevano fatto affiorare dalla sabbia del fondo marino i contorni di quel grande ambiente rettangolare a nicchie, (il ninfeo) che ai tempi delle grandi esplorazioni del Lamboglia s’intravedeva appena.

Sul lato settentrionale subito accanto alla base rocciosa della punta, culminava con un’abside semicircolare, all’interno della quale spuntavano le sommità di due statue marmoree eccezionalmente conservate ancora in piedi al loro posto.
Con uno scavo di fortuna, affidato dalla Soprintendenza ad un gruppo di subacquei napoletani, furono recuperate con la collaborazione del Nucleo Sommozzatori dei Carabinieri due statue virili in buono stato di conservazione, tranne che nelle parti superiori irreparabilmente sfigurate dalla micidiale attività dei litodomi.

Erano collocate simmetricamente accanto alle due imposte del muro curvilineo dell’esedra, al suo innesto con il lato settentrionale dell’edificio rettangolare, ed erano rivolte verso la parte centrale interna dell’esedra stessa.
Dopo qualche incertezza interpretativa, si riconobbero in esse i due protagonisti della scena omerica del fatale inebriamento di Polifemo: ad Ovest, Ulisse che sta porgendo la coppa di vino al Ciclope e di fronte a lui uno dei suoi compagni di avventura ( che per una non inconsueta assimilazione con il nome della località, potrebbe essere stato Baios), mentre sta versando altro vino dall’otre pieno.
All’interno delle due figure erano alloggiate nel marmo alcune condutture di piombo che arrecavano acqua alla coppa di Ulisse e all’otre del compagno: proprio la presenza di queste acque zampillanti delle due statue contribuiva a caratterizzare l’edificio che le ospitava come un ninfeo.

Al completamento della scena mancava, dunque, Polifemo, che la posizione delle due statue recuperate inducevano a cercare al centro dell’abside.

Gli scavi sottomarini: i metodi di ricerca

Proprio dall’interesse per le statue ritrovate, si giunge dopo altri dodici anni ai recenti scavi sottomarini nel ninfeo di punta Epitaffio.
Per la prima volta i subacquei hanno eseguito i loro lavori direttamente in immersione ponendo così fine ad una consuetudine che voleva gli archeologi a dirigere e a controllare le operazioni rimanendo a bordo dell’imbarcazione .
Data l’assenza di punti di appoggio a terra sufficientemente ampi in prossimità della zona di scavo, si è reso indispensabile il ricorso ad un’imbarcazione equipaggiata con tutte le ingombranti attrezzature necessarie al lavoro e con spazio adeguato dell’espletamento delle varie operazioni, preparatorie e di assistenza, connesse alle immersioni.
Ha assolto egregiamente il compito di cantiere galleggiante la motonave Lisetta della società Research di Napoli.
I turni d’immersione, di due o tre elementi ciascuno, sono stati suddivisi in modo da coprire senza interruzione l’intero arco della giornata lavorativa.
Essi hanno avuto durata variante da due a quattro ore consecutive, a seconda della stagione, della temperatura dell’acqua, e soprattutto delle diverse esigenze dei subacquei, molti dei quali continuavano ad assolvere i loro impegni lavorativi (impiegato, tabaccaio, pescatore).

Lo scavo vero e proprio è stato effettuato asportando materiali e sabbia per mezzo di sortone (tubi aspiranti) di varia grandezza, a seconda delle esigenze e da iettori d’acqua per rimuovere i depositi più duri e compatti; il tutto alimentato da due potenti, quanto rumorosi compressori installati a bordo della motonave.

Giungevano man mano a bordo per essere esaminati e selezionati su di un apposito tavolo di smistamento i materiali aspirati dalla sorbona e trattenuti in un grande sacco di rete molto fitta ad essa applicato.
Tutto il materiale più ingombrante e pesante (grossi massi di crollo, statue) veniva rimosso e poi recuperato per mezzo di palloni gonfiabili e di cesti metallici.
Per ridurre i tempi di allestimento del cantiere, in particolar modo lo svuotamento di quanto gia scavato del ninfeo, che alla fine di ogni campagna è stato colmato con sabbia e ghiaia per proteggerlo dalle manomissioni e dalle mareggiate, è stata sperimentata con successo una speciale sorbona a tre bracci flessibili diramantisi da un tubo centrale (una specie di polpo), alimentata da una idrovora.

Oltre alle attrezzature tradizionali adattate al particolare impiego con piccole modifiche e miglioramenti, per realizzare una discreta documentazione grafica e fotografica si è in due occasioni fatto ricorso a riprese televisive a circuito chiuso.
Si è anche approntato un elaborato sistema di illuminazione e di inquadramento, procedendo a distanze fisse su piani orizzontali e verticali per ottenere un sistema foto-mosaico delle pareti del ninfeo, conservate per notevole altezza (un paio di metri in media).

Il Ninfeo di Punta Epitaffio

Posto quasi a diretto contatto con la base rocciosa di punta Epitaffio, con profondità massima interna che arrivava a poco più di sette metri, dal livello del mare, il ninfeo è costituito da un grande ambiente rettangolare, lungo circa 18 m e largo 9, culminante in un’ampia abside semicircolare.

Le pareti lunghe sono ugualmente articolate in quattro nicchie rettangolari ognuna, precedute da due altre aperture analoghe che in realtà fungevano da ingressi laterali, poi murati sbrigativamente quando il ninfeo fu definitivamente abbandonato.
Le nicchie sono intervallate da lesene leggermente sporgenti.

Sia l’abside che le nicchie si trovano su un piano di poco più elevato rispetto al resto della sala e in esse erano disposte in origine le statue.
Al centro della parete opposta all’abside è un grande arco in laterizio rosso (tegole), anch’esso chiuso con rozza muratura di pietrame nella fase di abbandono.
Lungo le pareti maggiori e la fronte dell’abside corre un canale completamente rivestito di lastre di marmo bianco, con alle due estremità due coppie di fori sia per la fuoriuscita dell’acqua oltre il livello massimo, sia per lo svuotamento completo.
All’interno del piano centrale è invece ricavata un’ampia cavità rettangolare (una vasca?) che originariamente si inoltrava al di la del grande arco. Quest’arco è l’esatta corrispondenza interna dell’ampio passaggio centrale, con volta a botte ora crollata, che dalla grande fronte monumentale immetteva direttamente nel ninfeo. Ai due passaggi laterali minori , che partono anche essi dalla fronte, corrispondono invece altri due archi più piccoli, allineati con l’arco maggiore, i quali si aprono ai lati del ninfeo per introdurre attraverso brevi corridoi sia ai suoi due ingressi laterali, sia ai numerosi ambienti ad esso adiacenti.

I due passaggi laterali erano in comunicazione con quello centrale subito prima dell’immissione di questo nel ninfeo.
I muri, di opera reticolata di tufo flegreo, divenuto da giallo a grigio per effetto della prolungata permanenza in acqua marina e di laterizio rosso erano stati rivestiti di lastre di marmo bianco, come pure era stata pavimentata con spessi lastroni di marmo bianco la piattaforma centrale.

Durante lo scavo, però, la piattaforma si è presentata rivestita di lastre rettangolari di marmo solo nella parte inferiore della parete esterna, mentre al di sopra di esse appariva la muratura costituita da due filari di blocchetti parallelepipedi di tufo sorticale, che in realtà non è altro che il bordo stondato di tutta una serie di lastre disposte orizzontalmente che si addentrano nella struttura. Ciò potrebbe indicare che in origine il piano della piattaforma fosse più basso dell’attuale e che sia stato poi per qualche motivo rialzato di quasi mezzo metro, probabilmente ancora nel corso del I secolo d.C.

Rimaneggiamenti analoghi si sono notati anche in altri punti del ninfeo, nelle farti inferiori della quarta lesena del lato Est e di alcune nicchie.
Quasi tutto il rivestimento marmoreo fu sistematicamente asportato, per essere riadoperato altrove, all’epoca dell’abbandono del ninfeo e così pure furono portate via tutte le tubazioni di piombo.
Di queste ultime si sono a stento conservati alcuni pezzi perché inglobati nelle strutture murarie, nella parete occidentale, subito sotto l’abside e all’interno di essa in relazione con le statue di Ulisse e del suo compagno ed anche ai lati dell’anfratto roccioso dove posava la statua di Polifemo, i cui bassi sostegni in muratura sono stati rintracciati proprio al centro dell’esedra.
Le statue, sfigurate dai litodomi nella parte superiore, sono state rinvenute presso Punta Epitaffio, proprio dove avevano avuto luogo le ricerche del Lamboglia.
E cosi che, pur sempre dopo dodici anni di pausa, si è giunti ai recenti scavi sottomarini. Si sono svolti nel biennio 1981-'82, ma sono poi stati seguiti da interventi di ricognizione e rilevamento, oltre che da un impegnativo lavoro di restauro delle statue trovate nel ninfeo, ora esposte nel Castello Aragonese di Baia.


IL PORTUS IULIUS

Prof.massimo -5mt

Sito archeologico di straordinario interesse scoperto nel 1956 dal comandante Raimondo Bucher. Sono visibili i resti dell'antica città romana di Baia, sprofondata in mare a causa del bradisismo.
Siamo in una delle più importanti zone di immersione della intera area flegrea. Parliamo di zona e non di punto di immersione visto che l’estensione delle vestigia sommerse è davvero notevole. Sott’acqua sorvoleremo splendidi mosaici, pavimenti ancora integri, basamenti di mura di splendide ville, file di colonne… ci renderemo conto di trovarci in un sito unico al mondo.

La via Herculanea Foto Rastrelli

La costruzione del Portus Iulius, fu voluta nella zona tra l’Averno e il Lucrino dal collaboratore di Ottaviano M. Vipsiano Agrippa, nel 37 a.C., nel quadro di uno scontro navale contro Sesto Pompeo che aveva il dominio dei mari. I lavori della realizzazione e le relative infrastrutture furono affidati all’architetto Cocceio.
Nell’antichità il porto era difeso da una stretta e lunga diga, gettata sulla spiaggia, che partiva dalla Punta dell’Epitaffio e si congiungeva alla punta Caruso, sulla quale passava la Via Herculanea.
Nella diga si apriva un canale che permetteva l’entrata delle navi nel bacino del Lucrino e da qui, con un’altro canale scavato nella roccia, nel lago d’Averno.
La vita militare di questo porto fu breve, a causa dell’insabbiamento, poiché già nel 12 a.C., la flotta militare fu spostata nel vicino bacino naturale di Miseno e il porto venne riconvertito a scopo civile.
La zona, dopo la parentesi militare, ritorna ad essere un luogo sacro delle divinità infernali e alle cure termali, nonché luogo di lussuose residenze.
Le infrastrutture portuali, nei secoli successivi sono legate al destino del bradisismo. Cassiodoro ci informa, che alla fine del V secolo, la diga foranea del porto che discendeva fu distrutta.

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Nei secoli successivi si ha la completa scomparsa sott’acqua della diga e di tutte le strutture antiche, tanto che il Lucrino si unificò con il mare.
In un documento del 1503, a proposito di alcuni movimenti di bradisismo, il DE IORIO scriveva: “il mare si seccò portando fuori alcune “pilae”.
Il fenomeno di sollevamento della costa continuò fino all’eruzione di Monte Nuovo avvenuto il 29 settembre del 1538 che determinò la scomparsa del villaggio di Tripergole e ridusse il lago Lucrino a poco più di uno stagno.

Del Portus Iulius si iniziò a riparlarne alla fine dell’ultimo conflitto mondiale, grazie alla fotografia aerea e alle prime foto effettuate dal pilota, nonché subacqueo, R. BUCHER, le quali mettevano in risalto la topografia del grande complesso portuale che si estende su una superficie di circa dieci ettari.

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La fotografia aerea ha avuto il merito di sensibilizzare studiosi e Soprintendenza, quest'ultima, in seguito alle immagini aeree, ha emesso i primi provvedimenti di tutela avviando alcune campagne subacquee finalizzate sia al rilievo diretto sia allo studio del grande complesso portuale.
Il rilievo e lo studio diretto delle strutture, per il momento, ha interessato solo la parte Est del complesso e più precisamente la parte antistante il “Lido Augusto” che consistono in: Edifici adibiti a magazzini con muratura in opera reticolata che si elevano da pochi centimetri fino ad un metro circa, con affaccio su una corte centrale; - Casa padronale con peristilio di colonne in laterizi, posta nel lato Ovest dei magazzini.


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La stragrande maggioranza del complesso, purtroppo, non è stato ancora oggetto di rilievo, tutte le elaborazioni grafiche sono state ricavate da foto-interpretazioni.
La scarsezza dei mezzi finanziari della Soprintendenza, il limitato numero di archeologi subacquei, il disinteresse delle autorità locali, non ha permesso fino ad oggi la continuazione dei rilievi diretti.
Certo, il lavoro è enorme, ma la competenza e le capacità dei nuovi archeologi subacquei, riuscirà a dare quella spinta necessaria e a trovare quelle risorse che permetteranno di completare, in pochi anni, lo studio diretto e il lavoro grafico-topografico del Portus Julius.


VILLA DEI PISONI E VILLA PROTIRO

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Villa dei Pisoni
Rappresenta il primo nucleo del Parco Archeologico di Baia Sommersa. Si tratta di un percorso sagolato ed illustrato che si snoda fra i resti di una antica villa patrizia dell'epoca imperiale romana appartenuta alla famiglia dei Pisoni e successivamente confiscata da Nerone. Oltre ai resti dei colonnati e dei corridoi che circondavano un grande giardino, sono visibili una fontana ed una piscina termale, di grandi dimensioni, perfettamente conservate e divenute oggi sede di una colonia stanziale di corvine. Inoltre è possibile vedere: peschiere, pilae, la via Herculanea e ambienti con mosaici pavimentali bellissimi.

Villa a Protiro
Situata anch'essa all'interno del Parco Archeologico di Baia Sommersa, come la precedente, si avvale anch'essa di un percorso sagolato. I marmi, i resti di affreschi e uno stupendo mosaico perfettamente conservato, accompagnano il visitatore lungo tutto il percorso anche i resti di antiche botteghe ed impianti termali con condutture tuttora efficienti. Colonne marmoree e resti di anfore e manufatti sono visibili in gran numero.

Storia del rilievo

La semicolonna (n. 13 del percorso) in laterizio, del portico della Villa dei Pisoni Foto di Nicola Severino

La villa di Baia sommersa, identificata poi come quella dei Pisoni, era già conosciuta da fotografie aeree, d'altronde come tutte le altre strutture sommerse costiere. Il padre dell'archeologia subacquea, prof. Nino Lamboglia, la evidenziò e la posizionò, alla fine degli anni '60, a circa 150 mt. a sud-est al largo di Punta Epitaffio.
Per avere un rilievo grafico e topografico di dettaglio, bisogna aspettare alla fine degli anni '80, grazie ad un gruppo di volontari del Centro Campano di Archeologia Subacquea, il quale individuò anche una fistula plumbea con il bollo di Lucio Pisone, che determinò l'appartenenza del complesso alla potente e ricca famiglia che congiurò contro l'imperatore Nerone e, per questo motivo, il complesso passò al demanio imperiale.

La villa

La villa, sorta agli inizi del I sec. d.C., ristrutturata nel corso del I e del II sec., si sviluppa intorno ad una corte centrale a pianta rettangolare di mt 95 x 65 circa, orientata con il lato lungo NW-Se, destinata a giardino, mentre tutto il complesso residenziale che contorna la corte con portici, occupa una superficie complessiva di mt. 120 x 160.

Planimetria della Villa dei Pisoni - Planimetria della Villa dei Pisoni. In rosso il percorso subacqueo illustrato da pannelli esplicativi.

La villa era fornita di bacini di approdo ed era protetta dai venti di scirocco da una serie di pilae a doppia fila. Come tutte le ville marittime della zona, aveva delle peschiere per l'allevamento del pesce.
Le strutture oggi visitabili sono quelle di un ampio giardino quadrangolare delimitato da un portico e da corridoi, una scenografica facciata settentrionale aperta probabilmente su un parco che la separava dal Palazzo di Claudio e da due settori termali oltre a un vasto quartiere marittimo con moli, darsene, peschiere ed ameni padiglioni di soggiorno.

L'edificio appartenne inizialmente alla potente famiglia dalla quale provenivano Calpurnia, moglie di Giulio Cesare e senatori, pontefici, proconsoli e consoli. Una conduttura idrica qui recuperata (ora conservata al Castello di Baia) reca infatti il nome di uno dei primi proprietari: Lucio Calpurno Pisone, quasi certamente da identificare con l'omonimo console dell'anno 1 a.C. Alla morte di Lucio la villa passò a Gaio Pisone, il capo della fallita congiura antineroniana del 65 d.C. ed anzi, stando a quanto scrisse lo storico Tacito, il piano della congiura prevedeva l'eliminazione dell'imperatore proprio in questa villa.

Il pannello descrittivo n. 13 del percorso subacqueo, alla base della semicolonna sopra raffigurata.

La congiura fu tuttavia sventata, Gaio dovette suicidarsi e la villa, confiscata, divenne proprietà imperiale.
Adriano la fece radere al suolo e ricostruire in forme ancora più grandiose, sperimentando nuove soluzioni compositive. Il mosso disegno dei due corridoi absidati lungo il cortile è una delle prime, significative attestazioni di un nuovo genere di architettura che, nei suoi esiti scenografici, precorse il barocco e la facciata verso Punta dell'Epitaffio somigliava singolarmente alle ricchissime fronti dei coevi edifici teatrali.
Di particolare interesse è inoltre il vasto bacino occidentale (m 80 x 110) utilizzato come approdo per i natanti di discrete dimensioni e protetto a sud da una doppia fila di piloni.

Lo spezzone urbanistico prossimo al canale vede la sua emergenza più importante in una villa allungata per circa 120 metri sul fronte stradale. Preceduta da una fila di botteghe, la villa consta di due parti, una termale ed una residenziale, separate da un bacino rettangolare in comunicazione col mare ed ornato da statue, una delle quali (del tipo dell'Afrodite dei Giardini di Alcamene) è stata recentemente recuperata.

Villa pisoni il mosaico

L'ingresso a protiro era inquadrato da due lunghi sedili in muratura, oltrepassato il vestibolo (sul quale si affaccia l'ambiente dell'"ostiarius" o portinaio), si giunge nell'atrio dalle pareti rivestite di marmo, similmente agli ambienti adiacenti che, in diversi casi, erano pavimentati in mosaico. In un vano nell'angolo nord-orientale dell'atrio, è tuttora visibile un mosaico in bianco e nero ornato da una trama di esagoni.
A sud dell'atrio si apre una vasta aula absidata (l'emiciclo sul fondo è ampio ben 10,37 m.), probabilmente estranea al progetto iniziale e simile, anche per il ricco rivestimento in grandi lastre marmoree, alle aule tardo-imperiali delle ricche "domus" ostiensi.
Il canale d'accesso al Lago Baiano merita una visita, non foss'altro che per la sua suggestiva imponenza. Oggi è quasi completamente insabbiato e giace tra gli 8 e i 6 metri di profondità. I due muraglioni che lo delimitano sono in opera cementizia spessa mediamente 8 metri: si può seguirli in tutta la loro lunghezza di circa 230 metri, fino alle testate occidentali arrotondate e in più punti si possono riconoscere ifori lasciati dai pali delle cassaforme entro le quali, forse agli inizi dell'età imperiale, si effettuò l'enorme gettata.

Tratto da "BAIA - Il Castello ed il Museo Archeologico" di Gennaro Di Fraia - Edizioni DUEGI

VILLA MARITTIMA ANTISTANTE IL CASTELLO ARAGONESE

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La villa evidenzia un elaborato susseguirsi di peschiere, di porticati e di panoramici padiglioni che occupano un’area di circa metri 300 x 80. Diverse Pilae dal perimetro in reticolato stanno a protezione di una peschiera con portico semianulare, ambienti, vasche dei vivai e canali per il ricambio idrico.


VILLA MARITTIMA DI MARINA GRANDE A BACOLI

Prof.massimo -3mt
Risulta essere tra le ville Imperiali di maggiori dimensioni, si individuano resti di strutture murarie e in laterizio, presenze di ambienti riscaldati, parte di un ambiente termale, nicchie, vasche, pavimento in bipedali e un passaggio con una serie di arcate in laterizio.

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Fig.1 - Bacoli: planimetria generale delle strutture individuate

Bacoli viene ormai identificata con l'antico sito, più volte citato dalle fonti antiche, “ad Baulos”. L'etimologia del toponimo, era stata messa in relazione con le stalle, dove, secondo la leggenda, Ercole avrebbe fatto riposare i buoi rubati a Gerione.
Sulla scia di questa tradizione ed a causa del bradisismo, che ha causato la sommersione di molte strutture situate lungo la costa, sopravvisse l'erronea notizia della presenza in questa zona di un tempio di Ercole. Il Paoli, alla fine del 1700, lo annota, nella realizzazione di una carta topografica, tra i monumenti presenti nei Campi Flegrei; ed il Carletti, vent’anni più tardi, conferma la presenza di ruderi semisommersi specificando di aver visto colonne di ordine dorico e persino una statua di Ercole. Solo all'inizio dell'800 con il De Iorio si iniziano ad avanzare dubbi sulla loro interpretazione.

Ancora oggi la baia presenta, a terra, importanti resti archeologici: oltre alle innumerevoli strutture murarie, ormai inglobate nell'edilizia moderna, si conservano il teatro-ninfeo noto come Sepolcro di Agrippina a Nord ed i resti della cisterna c.d. Cento Camerelle, situata sul promontorio che chiude la baia a Sud.

Bacoli: l'impianto termale della villa

Fig. 2 - Bacoli: l'impianto termale della villa

Nello specchio d'acqua delimitato da questi due edifici è stata individuata una ampia banchina in opera cementizia, priva di paramento, con un piano di calpestio costituito da scheggioni di tufo irregolari ma ben allettati secondo un piano orizzontale.

Il fronte nord-ovest si presenta nella fascia inferiore concavo per attutire la forza del mare e proteggere dalle ondate la sommità della banchina, e conserva, non più in situ, un anello d'ormeggio a riprova che la struttura, in antico si protendeva in mare, oltre a costituire il basamento per la villa soprastante, forniva anche possibilità di ancoraggio.

Sopra questa platea, leggermente arretrati verso Sud, sono presenti numerosi resti di strutture murarie in laterizio in pessimo stato di conservazione e di difficile lettura in tutto il settore nord dell' area edificata in quanto parzialmente ricoperti dal loro stesso crollo. Il grado di leggibilità dell'impianto migliora nell’area centrale dell'edificio, dove è stato possibile individuare, per la presenza di ambienti riscaldati, parte di un impianto termale (fig. 2).

Si può facilmente riconoscere un vasto ambiente rettangolare, con le pareti articolate in nicchie di cui due presentano un passaggio ad arco verso est (figg. 4-5). Il centro della stanza è occupato da un'altra struttura rettangolare, realizzata in blocchetti di tufo, con pavimento in cocciopesto forse identificabile con una vasca.

bacoli sararett

Fig. 4 - Bacoli: sala rettangolare, nicchia nord-ovest. (Foto P.Monachello)

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Fig. 5 - Bacoli: sala rettangolare, nicchia sud-est con ricavato un passaggio ad arco. (Foto E.Scognamiglio)


Lungo il muro perimetrale della sala la presenza di alcuni tubuli, di tegole mammate e di un pavimento in bipedali fanno supporre l'esistenza di un vano ipocausto al di sotto dell'attuale quota di fondo (fig. 6); è inoltre probabile che anche il corridoio che corre intorno alla vasca, troppo stretto per essere transitabile, fosse adibito ad ipocausto e in tal caso ci troveremmo di fronte ad una doppia intercapedine per il riscaldamento della vasca centrale (calida piscina) (fig. 7).

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Fig. 6 - Bacoli: sala rettangolare, particolare dei tubuli rinvenuti lungo la parete perimetrale. (Foto E.Scognamiglio)

Il piano di calpestio doveva essere quindi ad una quota maggiore di circa 70/80 cm rispetto all'attuale livello di fondo e le pareti rivestite da una concamerazione, in tal caso i due archi situati nelle nicchie orientali e posti in parte al di sotto del pavimento, sarebbero stati adibiti al passaggio dell'aria calda.

Bacoli: sala rettangolare, pavimento in bipedali

Fig. 7 - Bacoli: sala rettangolare, pavimento in bipedali conservatosi tra la vasca ed il muro perimetrale dell'ambiente. (Foto E.Scognamiglio)

Bacoli: sala circolare, particolare del canale che corre lungo il perimetro dell'ambiente

Fig. 8 - Bacoli: sala circolare, particolare del canale che corre lungo il perimetro dell'ambiente. (Foto E.Scognamiglio)

L'ambiente successivo si presenta a pianta circolare e conserva lungo tutto il suo perimetro salvo che in corrispondenza dell'entrata, una doppia muratura in laterizio che delimita un canale coperto da bipedali e cementizio, con la doppia funzione di via di scarico per acque reflue e di sedile-gradino per i frequentatori della terma (fig. 8). Questo tipo di planimetria è abbastanza consueto nei percorsi termali, ma per il momento non sono stati individuati dati certi sulla presenza di un vano ipocausto e quindi per individuare la funzione dell'ambiente.

Ad Ovest di questo complesso sono presenti altri ambienti dei quali per il momento non conosciamo la funzione, ma che, per le tracce di suspensurae in uno di essi, probabilmente fanno sempre parte delle terme. Numerose altre strutture, non ancora indagate, sparse per tutta la sommità della banchina, completano questo settore, che costituisce probabilmente la c.d. pars triaritirna di una villa costiera.

Dalla zona termale parte una serie di arcate in laterizio, che giunge fin quasi ai piedi del promontorio; la successione delle arcate segue un ritmo metrico ben preciso alternandosi archi di sette metri e mezzo con archi di due metri e mezzo. L'asse longitudinale della struttura è a sua volta attraversato da un passaggio voltato (figg. 9-10).

Bacoli: pianta e prospetto del ponte ad archi, particolare del percorso con direzione NE-SW
Fig. 9 - Bacoli: pianta e prospetto del ponte ad archi, particolare del percorso con direzione NE-SW



Bacoli: ponte ad archi, particolare dei piedidritti con l'attacco dell'arcata maggiore ed uno degli archi minori che lo attraversa.

Fig. 10 - Bacoli: ponte ad archi, particolare dei piedidritti con l'attacco dell'arcata maggiore ed uno degli archi minori che lo attraversa. (Foto P. Monachelli)

Gli archi hanno l'estradosso piatto con attualmente il calcestruzzo a vista, mentre all'interno delle volte si conserva in alcuni tratti uno spesso strato di cocciopesto. Il forte insabbiamento che ha portato il livello di fondo all'altezza delle reni degli archi non permette di stabilire l'altezza originaria della struttura né tantomeno di verificare se si sia conservato un piano pavimentale.

Sembra comunque più plausibile ipotizzare l'estradosso delle volte come “percorso ufficiale” considerando che questa quota quasi coincide con quelle dei pavimenti delle sale termali; inoltre sono state privilegiate le arcate che si aprono verso mare, con il probabile scopo di creare una quinta scenografica per la baia, rispetto al passaggio lungo l'asse longitudinale che risulta piuttosto angusto.
Il ponte, inoltre, collegando il promontorio, dove si conservano i resti della cisterna detta Cento Camerelle, con la zona termale della villa potrebbe aver avuto anche funzione di acquedotto, ed un esempio simile lo ritroviamo nel ponte della villa di Astura dove parte dell'estradosso era pedonabile e parte riservato a condutture d'acqua.
Il penultimo arco del ponte sembra essere il punto di incrocio con un altro percorso con direzione NE-SW (fig. 9), da una parte quindi in direzione dell'attuale costa e dall' altra verso la scogliera moderna, che chiude la baia a SE, sotto la quale si conservano altri resti murari.

La struttura rilevata sembra un banchinamento a ridosso della probabile linea di costa antica, per fornire la possibilità di attracco ad imbarcazioni. In particolare nel tratto che chiude la baia ai venti di levante, ossia esattamente sotto la scogliera, è stato rinvenuto un anello di ormeggio adagiato sul fondo ed individuato lo scasso nel molo dove questo era alloggiato (fig. 11). Oltre la scogliera, la banchina antica prosegue ancora per un lungo tratto, di cui i primi cento metri circa in buone condizioni e poi sotto forma di crolli.

Bacoli: l'anello di ormeggio rinvenuto presso il molo esterno

Fig. 11 - Bacoli: l'anello di ormeggio rinvenuto presso il molo esterno. (Foto E.Scognamiglio)

Nella fascia compresa tra la banchina e il promontorio, sono presenti muri, questa volta in opera reticolata, e canali con tracce di incassi rettangolari che potrebbero essere interpretati come alloggiamenti per grate di peschiere.
Dagli studi precedenti sembra esserci accordo nell'identificare la cisterna delle Cento Camerelle come parte della villa di Q. Ortensio Ortalo, che fu console nel 69 a.C.
Alla sua morte la villa passò in eredità al figlio, al quale venne espropriata, per motivi politici, dai triumviri, entrando così a far parte del patrimonio di Antonia, figlia di Antonio ed Ottavia, per arrivare poi, per linea ereditaria, fino a Nerone. E proprio con Nerone Bauli si guadagna una triste notorietà, venendo infatti più volte citata dalle fonti antiche a proposito dell' assassinio di Agrippina: Nerone, fingendo una riconciliazione con la madre, la invitò a partecipare alle feste Quinquatrie a Baia. Agrippina giunse così nei Campi Flegrei arrivando via mare da Anzio, probabilmente con una nave della flotta imperiale, presumibilmente sbarcando presso il porto militare di Miseno. Tacito riporta che venne poi accompagnata “ad Baulos” e da qui a Baia per i festeggiamenti. Nerone tentò il matricidio facendo sabotare l'imbarcazione che doveva riportarla indietro, ma Agrippina, grazie all'aiuto di alcuni pescatori, si salvò dal naufragio e venne riaccompagnata alla sua villa.
Per alcuni Agrippina venne riaccompagnata a Bauli, per altri sulle sponde del lago Lucrino, ma in ogni caso la villa in cui soggiornò, appena giunta da Anzio, o era già di proprietà di Nerone o comunque entrò a far parte dei suoi possedimenti dopo l'uccisione della madre.

Da quanto sopra esposto, viene spontaneo tenere presente, tra le ipotesi di studio, anche la possibilità che le strutture individuate facciano anch'esse parte della villa che fu di Ortalo e dove soggiornò Agrippina prima della morte. Sappiamo che la villa di Ortalo si trovava “ad Baulos” e il litorale di Bacoli non è molto esteso: consiste in realtà di due sole insenature divise e dominate da un promontorio che, oltre a racchiudere la cisterna delle Cento Camerelle, conserva, in parete, numerose aperture relative a cunicoli, piccoli resti di piani pavimentali strutture murarie in opera reticolata e resti di ambienti scavati nel tufo, risparmiati dallo smottamento della montagna.

La villa si estendeva quindi su tutto il promontorio e la presenza in mare di peschiere, sempre in opera reticolata, può offrire un nuovo dato per confermare l'attribuzione del complesso ad Ortensio Ortalo, il quale divenne famoso proprio per la sua passione per l'allevamento del pesce. Sappiamo inoltre che la villa di Ortalo entrò a far parte, circa un secolo più tardi, delle proprietà di Nerone e l'utilizzo dell'opera laterizia per la costruzione dell'impianto termale e del ponte induce a considerare questo settore un ampliamento della villa e quindi posteriore, seppur non databile con esattezza, al nucleo originario e i due diversi nuclei edilizi ben si accordano con un arco cronologico che va dalla metà del I sec. a.C. al II sec. d.C.

Un ulteriore dato sembra potersi ricavare dalle sale termali. I due ambienti finora indagati risultano di dimensioni tali da far supporre un impianto di grande imponenza. In particolare la sala circolare, se messa a confronto con le sale con medesima planimetria che si conservano nei complessi termali, pubblici e privati, presenti in Campania (escludendo naturalmente le grandi rotonde baiane), risulta essere tra quelle di maggiori dimensioni e questo può forse costituire un dato per individuare una “committenza imperiale” per l'ampliamento della villa.


Tratto dagli Atti del Convegno di Archeologia Subacquea - Ministero per i Beni Culturali e Ambientali

- Ricostruzione in computer grafica di Baia e del Golfo di Napoli http://www.capware.it/
- il Blog di Sergio Coppola Parco Sommerso di Baia "fotosommerse"
- il sito dei  I CAMPI FLEGREI
- il sito ufficiale del IL PARCO SOMMERSO DI BAIA

Bibliografia e contributi web
- Campania - J. Beloch;
- I Campi Flegrei - A. Maiuri;
- Puteoli - Ed. Banco di Napoli;
- Il Forestiere - P. Panini.
- Tesi di Laurea in didattica della storia: L’antichità sommersa. Le ricerche di archeologia marina a Baia di Costagliola Marilia
- Atti del Convegno di Archeosub - Ministero Beni Culturali e ambientali
- "BAIA - Il Castello ed il Museo Archeologico" di Gennaro Di Fraia - Edizioni DUEGI
- Testi dal sito Baia Sommersa di Nicola Severino
- Soprintendenza per i Beni Archeologici di Napoli e Caserta http://www.areamarinaprotettabaia.it

fotografie di:
- Foto Rastrelli: www.francescorastrelli.com (dal sito www.baiasommersa.it)
- Foto Nicola Severino (dal sito www.baiasommersa.it - www.nexus.it)
- Foto E. Scognamiglio (www.nexus.it)
- Foto P. Monachelli (www.nexus.it)


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