Il mare, una magia di colori e di forme, di luci e bui abissali. Un paradiso nel quale la natura ha espresso la vita nel modo più completo, cullando tra le acque dal microscopico plancton alle gigantesche balene, dalla piccola alga solitaria alle immense praterie di Posidonia.
Il mare è la parte più estesa del nostro Pianeta, un paradiso che cerchiamo oggi con tutte le forze di riportare al suo meraviglioso equilibrio, rimediando come si può agli scempi e alle usurpazioni che la nostra società consumistica ha perpetuato negli ultimi decenni. Amo il mare in ogni sua declinazione, ma confesso che il "mio" mare è sempre stato il Mediterraneo, per me un grande compagno di viaggio.
L'ho sempre temuto e rispettato sin da quando negli anni '50 misi per la prima volta la testa sott'acqua, guardai attraverso la maschera e me ne innamorai!
Il mare ha sempre suscitato un grande fascino sugli uomini di ogni epoca e civiltà, ma anche grande timore.
Per millenni l'uomo ne conosceva solo la sconfinata superficie e nella sua fantasia popolava gli abissi di una folla di misteri, dando vita a leggende e culti che ancora oggi sopravvivono in molte civiltà. Solo in tempi relativamente recenti lo sviluppo di attrezzature sempre più sofisticate ha permesso all'uomo di affrancarsi, almeno in parte, dalla sua condizione di "animale terrestre" e di esplorare il misterioso e affascinante mondo sottomarino. L'autorespiratore autonomo GC45 inventato da Jacques-Yves Cousteau e dall'ingegnere Emile Gagnan nel 1943, ha liberato il subacqueo dall'ombelicale che lo legava alla superficie.
Con quelle attrezzature e con custodie subacquee auto-costruite, Cousteau incominciò a realizzare film che pian piano rivelavano questo mondo e spingevano i primi temerari a seguire le sue orme. Da allora la tecnologia ha fatto grandi passi e gli abissi sono stati esplorati a profondità sempre maggiori, talvolta ritrovando pagine di storia rimaste custodite laggiù per decenni, come la Corazzata Roma inabissatasi nelle acque della Sardegna il 9 settembre 1943, dopo la dichiarazione di resa, e filmata da Guido Gay nel 2012 con il ROV Pluto a oltre 1000 metri di profondità.
O dischiudendo un vero e proprio museo archeologico che disegna sui fondali mappe di storia antica, come la battaglia navale tra Cartaginesi e Romani nelle acque delle Isole Egadi che nel 241 a.C. decise le sorti del Mediterraneo.
Il ritrovamento dei rostri, arma strategica delle navi di quei tempi, ad una profondità tra gli 80 e i 100 metri, da parte di Sebastiano Tusa e della sua Soprintendenza del Mare ha consentito, nel corso di numerose campagne di studio, di ricostruire in dettaglio lo svolgersi della battaglia che pose fine alla Prima Guerra Punica.
Per me, che ebbi la fortuna di realizzare, insieme a mia moglie Marina, delle riprese filmate nel corso di una delle campagne, rimane uno dei più bei ricordi di condivisione di una ricerca con Sebastiano, prima che un maledetto volo diretto in Etiopia se lo portasse via.
L'Italia, crocevia di grandi culture, è per tre quarti distesa in quello che, dal punto di vista naturalistico, è considerato uno dei mari più belli del mondo. Per me, è il mare sulle cui sponde sono nato e cresciuto, quello che ho cercato di raccontare attraverso i miei documentari dopo essermene io per primo innamorato. Mi addolora scoprire che oggi è uno dei mari più sovra-pescati al mondo e mi ritengo un fortunato per averne conosciuto una ben diversa ricchezza di vita, una biodiversità che ne caratterizza ogni area geografica.
Il Mar Ligure, geograficamente parlando si estende all'incirca dall'arcipelago provenzale delle Hyeres fino alle foci dell'Arno. Già nelle immediate vicinanze della linea costiera i suoi fondali precipitano verso gli abissi, riflettendo sotto il pelo dell'acqua la morfologia delle sue coste rocciose.
A questa eccezionale caratteristica si aggiunge un particolare andamento delle correnti che provocano la risalita delle acque profonde: è il fenomeno dell'"upwelling" responsabile di una straordinaria varietà e abbondanza di vita.
E' qui che nel 1999 è nata una realtà internazionale, il Santuario dei Cetacei, un tratto di mare di circa 25.573 km2compreso tra Liguria, Provenza e Sardegna settentrionale. Tutto ebbe inizio nel 1986, quando nacque la fondazione Tethys Research lnstitute.
Con uno dei suoi fondatori, il biologo marino Giuseppe Notarbartolo di Sciara, effettuammo le prime campagne di studio per valutare la presenza di cetacei nel Mediterraneo e in particolare nel Mar Ligure.
A bordo del Mizar, un cabinato di 14 metri, lo percorremmo in lungo e in largo per diversi mesi ospitando a bordo ricercatori come Bill Watkins, del Woods Hole Oceanographic lnstitut, che sperimentava nuovi strumenti per raccogliere suoni di balene, delfini e altri mammiferi marini. Ma anche volontari e studenti, come Sabina Airoldi, allora giovane studentessa di Scienze Naturali che prenderà poi le redini dell'Istituto fino ai giorni nostri. Nel corso di diverse spedizioni avvicinammo e seguimmo alcuni esemplari di Balenottera comune, uno dei giganti del Mediterraneo (può superare i 22 metri di lunghezza), documentando la frequentazione di questa specie nelle acque del Mar Ligure.
Un lavoro di grande pazienza, come sempre quello dello studio e dell'osservazione della natura: giornate al binocolo cercando uno sbuffo che rompesse la continuità dell'orizzonte, la frustrazione nel seguirle e vederle scomparire nel blu appena ci avvicinavamo, le Balenottere, infatti, passano gran parte del loro tempo in immersione e possono riemergere anche a diverse miglia di distanza.
Imparammo che la decisione del contatto ravvicinato dipendeva esclusivamente da loro, noi potevamo solo attendere: quando si sentivano al sicuro erano loro ad abbordarci con fiducia e permetterci alla fine perfino di filmarle sott'acqua. L'incontro ravvicinato più emozionante fu con uno stupendo esemplare di 14 metri (la lunghezza della nostra barca) che rimase 20 minuti sottobordo a guardarci con curiosità.
Le osservazioni compiute sulla Balenottera comune in quella prima stagione diedero spunto a successivi cicli di studi e infine alla creazione del Santuario. E furono per me l'occasione per raccontare questa esperienza in un documentario televisivo.
Il mare davanti casa, per me, è sempre stato il Tirreno.
L'ampio tratto di mare, che si estende dalle coste toscane alla mia Sicilia, riunisce in sé tutte le caratteristiche tipicamente mediterranee dell'intero bacino. Ho avuto la fortuna di esplorare e filmare i più spettacolari fondali del Mediterraneo. Nelle forme di vita che lo abitano possiamo leggere tutti i capitoli della sua straordinaria storia evolutiva, fino alle sue origini, al mitico e arcaico Mare della Tetide.
I drammatici prosciugamenti e le successive invasioni delle acque dall'Atlantico, le glaciazioni e infine l'isolamento geografico hanno segnato profondamente la realtà biologica del "mare nostrum", provocando l'evoluzione di animali e piante uniche ed esclusive, testimonianze viventi di quanto è avvenuto nel passato. Uno di questi tesori del Mediterraneo è rappresentato dalle praterie di Posidonia oceanica, una vera e propria pianta con radici, fusto fiori e foglie che misteriosamente fiorisce in autunno tradendo le sue antiche origini tropicali.
Il fitto fogliame, di un verde brillante, e l'intreccio dei rizomi ospitano un'infinita varietà di piccoli ambienti molto diversificati tra loro e offrono cibo e rifugio a numerosissimi organismi animali e vegetali che costituiscono associazioni caratteristiche e, in certi casi, esclusive della prateria. La Posidonia, diffusa lungo le coste da pochi metri d'acqua fino a una profondità di circa 40 metri, assolve diverse e importantissime funzioni. Le foglie sono in grado di frenare il moto ondoso e le correnti, agendo come una barriera contro l'erosione delle coste; le praterie sommerse inoltre sono una vera e propria "nursery", utilizzata da numerose specie ittiche pregiate.
Le praterie hanno subito, in un passato non lontano, l'impatto violento delle reti a strascico, prima che ci si rendesse conto del grave danno e se ne vietasse l'uso sotto costa.
Dove la prateria lascia il posto a pareti nel blu, possiamo incontrare un altro particolare biotopo, il coralligeno. Il nome può trarre in inganno, in realtà non ha niente a che fare con ciò che comunemente intendiamo per "coralli".
La roccia è ricoperta da alghe calcaree dai tenui colori rosati e da un'infinita varietà di organismi animali fissi, tra cui spiccano le macchie appariscenti di spugne e le corolle delicate degli spirografi.
Questo è il regno incontrastato delle gorgonie, appariscenti e colorate: quando avviciniamo le luci della telecamera ci offrono la loro incredibile bellezza. Sono parenti strette dei veri coralli, ma organizzate in colonie arborescenti di microscopici polipi: le arancioni Eunicelle e, più in profondità dove le correnti marine diventano più forti, le Paramuricee, dai colori rosso vivo e giallo fosforescente.
Alcuni anfratti bui sono tappezzati da organismi fioriti che ricordano le margherite, sono colonie di Parazoanthus, chiamate comunemente Margherite di mare, che vivono in curiose associazioni con delle spugne. Qua e là, aggrappata alle rocce, si può osservare una rara madrepora a cuscino: la Cladocora caespitosa, i fondali di Ustica regalano distese di queste madrepore che ricordano le barriere coralline tropicali. Infine il Mar Ionio, anticipatore di forme di vita che già appartengono ad un mondo marino sud-orientale.
La separazione del Mediterraneo Orientale da quello Occidentale non è basata soltanto su confini geografici convenzionali, è anche caratterizzata da una precisa realtà biologica.
In questo senso, il Mar Ionio è una sorta di mondo intermedio tra queste due realtà sottomarine. Molti dei suoi abitanti preannunciano, Infatti, quel carattere di "tropicalltà" così tipico del Mediterraneo sud-orientale. Nel Mar Ionio si possono cosi trovare molti animali di antichissima origine senegallana e lndopaclfica, amanti di acque calde.
Il costante riscaldamento del mari incrementa e amplifica sempre di più questo fenomeno: sono oltre 85 le specie ittiche di origine tropicale, tra cui i più comuni pesce pappagallo e pesce balestra, presenti in Mediterraneo.
L'apertura del Canale di Suez, agli Inizi di questo secolo, ha ripristinato dopo milioni di anni la connessione esistente al tempo della Tetide con l'lndopaclfico, lasciando via libera a nuove colonizzazioni da parte di specie aliene il più delle volte entrate casualmente nel Mediterraneo: clandestini inconsapevoli, attaccati alle carene delle navi.
Spesso, adattandosi bene al cambiamento, partono alla conquista del nuovo ambiente, entrando In forte competizione con gli abitanti autoctoni: piccole rivoluzioni che si svolgono proprio sotto i nostri occhi e che lentamente stanno, ancora una volta, cambiando la realtà biologica di tutto il Mediterraneo.
Ma lo Ionio è anche un'altra porta sugli abissi, le misteriose profondità marine che per secoli, e in parte ancora oggi, hanno alimentato la fantasia degli uomini. Un particolare gioco di correnti provoca anche qui la risalita delle acque fredde abissali, trascinando verso la superficie specie che vivono a 2000-3000 metri di profondità e il cui studio normalmente richiede navi oceanografiche con ROV o batiscafi. Pesci dalle bocche enormi, dotati di singolari appendici per catturare con l'Inganno le prede e di complicati sistemi di segnali luminosi che rendono questi animali non molto diversi da quelli immaginati nei film di fantascienza come Allen, il mostro pensato dal regista Ridley Scott e realizzato dall'artista Roger Dicken.
Lo sviluppo della tecnologia ci permette di filmare a grandi profondità rimanendo a bordo di una barca. Un'esperienza che mi incuriosisce fin dal suo apparire sulla scena (sono sempre sceso sott'acqua a filmare i miei soggetti) e che mi cattura la prima volta che il mio lavoro mi porta a documentare una ricerca di alto fondale proprio nelle acque dello Ionio, negli anni '80.
Che magia quel cono di luce dei fari del ROV che apre improvvisi squarci nella vasta pianura di fango: a -300 metri sorprendiamo granchi dalle lunghe zampe simili ad aragoste e più avanti pesci, per noi sconosciuti, che con lunghissime appendici sondano la melma, muovendosi come essere preistorici.
La pesca a strascico ha scavato evidenti canali nel fango, le reti rastrellano i fondali fino a oltre 300 metri per la cattura del gambero rosso, sempre più raro nel nostri mari: ne vengono pescate ben 200 tonnellate l'anno e quando avremo esaurito anche questa fascia di fondali sarà l'ennesima specie che avremo cancellato dal nostro mare.
Non c'è dubbio che il Mediterraneo, da tempo, sia malato. I responsabili, duole dirlo, slamo noi. I fattori che genericamente vengono riuniti sotto il termine di inquinamento sono in realtà diversi e molteplici, e il più delle volte agiscono in sinergia, potenziandosi a vicenda. Le nostre immersioni nel parchi e riserve marine ci regalano sempre spettacoli incredibili, cernie, ricciole cl sfiorano come siluri, barracuda cl avvolgono In un carosello argenteo, erpure al di là delle zone protette, dove il mare è solo, le indagini dicono che rischia il collasso.
Le cause ultime del problemi di salute del nostro mare vanno ricercate sostanzialmente nella tendenza a considerare questo ambiente da un lato come una fonte illimitata di risorse a cui attingere guidati spesso dal solo criterio economico; dall'altro il mare è ancora purtroppo visto come un'enorme pattumiera in grado di smaltire qualsiasi tipo di sostanza, un atteggiamento ancor più deleterio nel Mediterraneo che ha una lentissima capacità di ricambio delle acque con quelle dell'Atlantico, considerato che lo stretto di Gibilterra ha una profondità di meno di 300 metri.
Entrambi gli atteggiamenti, naturalmente, si fondano su una drammatica mancanza di conoscenza dei meccanismi biologici che regolano questo come tutti gli altri ecosistemi naturali. Alcuni leggendari animali come la Foca monaca hanno rischiato l'estinzione, a contribuire a salvarla un lavoro meticoloso e instancabile sul campo, lavoro raccontato in numerose pubblicazioni e filmati da Lele Coppola, che ha dedicato 30 anni allo studio e alla protezione di questa specie.
Le sue immagini hanno contribuito a far conoscere più diffusamente una specie che rischia di scomparire per sempre.
Tuttavia il Mediterraneo non è irrimediabilmente perduto, non è vero come da più parti si sente dire che ormai non c'è più niente da fare, i problemi che oggi minacciano seriamente la salute del nostro mare sono tanti, ma ognuno di noi con piccoli atti di responsabilità civile può contribuire alla sua salvaguardia.
Un uso più corretto e avveduto delle energie, ormai ne siamo consapevoli, può aiutare a ridurre il riscaldamento globale e quello delle acque marine. Un consumo del pesce che parta dalla consapevolezza che si tratta di una risorsa pregiata favorirebbe la resilienza della vita marina.
Un rapporto meno irresponsabile con la plastica eviterebbe di soffocare il mare e la sua fauna, anche in questo caso immagini shock ci hanno aiutato a capire quanti animali hanno perso la vita a causa della plastica finita in mare e solo ora iniziamo a capire che un dramma non meno importante è costituito dalle microplastiche che, ingerite dai pesci, finiscono sulle nostre tavole.
Ma io voglio essere ottimista, nel 1970 Jacques Cousteau disse che nel giro di 20 anni il Mediterraneo sarebbe divenuto un mare senza vita; i venti anni sono passati e la profezia non si è ancora avverata, voglio sperare che in ognuno di noi nasca uno stimolo a far sì che questo non avvenga mai, per noi e per i nostri figli. Il mio augurio è che dopo aver superato la crisi che attanaglia in questo momento l'intero Pianeta, tutti noi riprendiamo le nostre vite con maggiore consapevolezza dell'immenso valore di ambienti naturali come il nostro Paese e il nostro Mediterraneo. Sono convinto che ad ognuno di noi spetti il compito, un tempo affidato alla narrazione con cui si tramandavano storie e leggende, un compito di cui noi subacquei siamo particolarmente responsabili, perché come dice la grande oceanografa americana Sylvia Earle siamo noi gli occhi che osservano il mare e le bocche che possono dargli voce.
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