La prima cosa che ci è accaduta nell'incamminarci sull'itinerario delle ricerche bibliografiche relative alla subacquea, è stata quella che capita a tutti quasi sempre, allorchè si accingono a sondare nel pelago del passato, per sapere ciò che di bello e di buono si è fatto al mondo, da quattro o cinque secoli a sta parte. E cosi ci siamo imbattuti in Leonardo.
E' un incontro frequente ed inevitabile. Quest'uomo prodigioso s'è piantato su tutti gli sbocchi, ha occupato tutti i passaggi dello scibile. Questo cervello proteiforme, questo spirito straordinario, s'è interessato di tutto, ha studiato tutti i problemi, ha divinato tutti i misteri divinabili nel suo tempo, e qualcuno di più.
Egli non s'è contentato di essere sommo nella pittura, nella scultura, nell'architettura, ma ha voluto essere ed è stato un maestro nelle matematiche, nell'ingegneria idraulica, nell'ingegneria militare, e un precursore nella scienza del volo.
La terra, l'aria, l'acqua, sono stati per lui campi aperti e fecondi d'osservazione e di studio, e per passo che vi si muova, ecco che lo si ritrova, guida e mentore pronto a farci strada e lume con la fiaccola del suo fiammante sapere.
Or dunque Leonardo s'è interessato anche dei palombari.
Basta andare alla Biblioteca Ambrosiana di Milano per accertarsi sul testo autentico, ch'è quello del famoso Codice Atlantico
«Ma si può ben fidarsi di taluno che lo ha compulsato a fondo per proprio conto, come Mario Baratta, il quale ne ha poi fornito ampio ragguaglio in un suo libro paziente e diligente che s'intitola delle Curiosità Vinciane.
Il primo e bizzarro accenno è in una pagina velata di prudenti riserve e tuttavia significativa : "... come non si può star sotto l'acque, se non quando si può ritenere lo alitare. Come molti stieno con istrumento alquanto sotto l'acque.
Come e perchè io non scrivo il mio modo di star sotto l'acqua, quanto io posso star senza mangiare; e questo non pubblico o divulgo per le male nature delli omini, li quali userebbero li assasinamenti ne' fondi de' mari col rompere i navili in fondo, e sommergerli colli uomini che vi son dentro; e benchè io insegni delli altri, quelli non son di pericolo, percè di sopra all'acqua apparisce la bocca della canna, onde alitano, posta sopra li otri o sughero ...
Da cui dipende che già ai tempi di Leonardo da Vinci erano noti ed usati apparecchi palombarici e che egli stesso ne inventava, e si arguisce che aveva pure escogitato il modo di star sott'acqua senza aiuto di comunicazioni con l'esterno, benchè reputasse pericoloso farlo conoscere, a causa delle "male nature degli omini".
Ma ciò che, concepito da lui, giudicava innocuo perchè denunziato dall'opportuna presenza rivelatrice, si hanno tracce in vari disegni, corredati talora da avvertenze esplicative.
Così c'è l'abbozzo d'un bavaglio di cuoio, posto sulla bocca del palombaro, con un rigonfiamento in cui s'innesta un tubo flessibile, l'altro capo del quale è a sua volta unito ad una cannuccia attaccata ad un disco di sughero galleggiante sull'acqua.
E' appunto quella ch'egli ha indicato come "la bocca della canna, onde alitano, posta sopra li otri o sughero".
In un'altro disegno il tubo presenta segni trasversali, certo indicanti anelli metallici ad impedire la torsione e lo schiacciamento del tubo stesso, assicurando con ciòl'entrata regolare dell'aria necessaria alla respirazione e rendendo quindi più efficiente e sicuro l'uso del proposto congegno.
Altrove Leonardo descrive uno strumento usato nel mare d'India per pescar le perle, dicendo "e fassi di corame con ispessi cerchi a ciò che il mare non la richiuga; e sta di sopra il chompagno cholla barcha a spettalo, e questo pesca perle e choralla e à occhiali di vetro da neve e choraza di spuntoni preposti".
In sostanza 'spiega il Baratta' è una maschera composta di due parti distinte, delle quali una assai pronunciata si trova davanti alla bocca di colui che indossa l'apparecchio e forma inoltre una specie di rigonfiamento, il quale dalla parte della nuca è connesso al tubo adduttore dell'aria.
Vi è poi aggiunto un tubo di scarico dell'acqua che eventualmente potesse infiltrarsi nel tubo dell'aria.
Tali apparecchi potevano però servire solo per piccole profondità. In altri disegni di Leonardo si vede un serbatoio per il rifornimento dell'aria pura, accomodato al collo del palombaro: una specie di magazzino portatile.
Qui l'uomo appare senza maschera e solo provvisto di occhiali assicurati alla nuca con un legaccio, ma certo una tale attrezzatura poteva essere usata per poco tempo, e anch'essa per profondità limitate.
Il serbatoio, o camera d'aria, a chiusura ermetica con vite di bronzo, che doveva non solo somministrare l'aria ma raccogliere i prodotti della respirazione, è poi disegnato in più ampie proporzioni, e parrebbe inoltre che codesti apparecchi dovessero agire senza alcuna comunicazione con l'ambiente esterno, per cui bisognerebbe ascriverli alla categoria degli arnesi peccaminosi.
Ma è pur vero che quelle esercitazioni Leonardesche non erano destinate al pubblico dei contemporanei, e quanto ai posteri, oh, non c'è più pericolo che s'inducano per così poco agli "assasinamenti ne' fondi de' mari".
Fin qui, come si è visto, si tratta di espedienti e accorgimenti che si limitano ad assicurare la respirazione e a salvaguardare e aiutare gli occhi.
Ma tra le carte di Leonardo c'è anche lo studio di un completo vestito da palombaro, com'egli stesso stesso spiega, con "una vestigia di panziera, che facci pappafico, giubbon e calze, e un'otricello da orinare, una vesta di panziera, e l'otro che tie' l'alito, con mezzo cerchio di ferro, che lo tenghi discosto dal petto. Se arai una baga intera con animella da pal....., quando la sgonfierai, n'andrai in fundo, tirato da sacchi del sabbione: quando la gonfierai tornerai sù, sopral'acqua. Una maschera co li occhi colmi e di vetro ma che il peso sia di qualità che lo levi col tuo notare. Porta un coltello che tagli ben, acciò ch'una rete non ti pigliassi. Porta con tè due baghette o tre, sgonfiate, e da gonfiare come le balle pe' bisogni."»
Viaggi nel mondo sommerso
(Avventure di palombari) di Ulderico Tegani, prima ed. 1931
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